Riceviamo e pubblichiamo l’intervento dell’Avvocato Massimo Di Summa su un argomento di grande attualità, il diritto di cronaca, che ha coinvolto recentemente tutti i mezzi di comunicazione su fatti drammatici che hanno scosso l’opinione pubblica italiana. L’Avv. Di Summa, oltre ad essere molto impegnato nel sociale, svolge l’attività forense soprattutto nel campo del diritto di famiglia e della tutela dei minori, un settore molto delicato, che spesso viene violato dal diritto di cronaca.
Fin dove arriva il diritto di cronaca?
6 Giugno 2011
Nel nuovo millennio, diffondere qualsiasi tipo di informazione nell’ambito del diritto di cronaca, è facilitato enormemente dagli strumenti che si hanno a disposizione, ma anche entrare nella vita delle persone ed invadere la loro intimità è altrettanto semplice e diretto. Attualmente le normative del vigente ordinamento giuridico non sono in grado di garantire la tutela piena e completa a ciascun individuo, nei confronti di ogni tipo di attacco informativo e mediatico. Ogni soggetto che risiede nel territorio nazionale e che possiede un telefono cellulare può essere localizzato con una precisione infallibile ed uno scarto di errore di qualche metro sulla sua posizione. Si comprende bene, dunque, che esistono strumenti di tecnologia telecomunicativa attraverso i quali chiunque può essere individuato in una dimensione spazio temporale in maniera pressoché perfetta. I fatti di cronaca degli ultimi tempi hanno portato l’attenzione di tutti verso le così dette “celle telefoniche”, o verso terminologie tecniche quali “l’aggancio ad una cellula di un telefonino” e così via. E’ evidente, infatti, quanto sia semplice ricostruire ogni istante di un soggetto attraverso lo spostamento del proprio telefono cellulare (negli ultimi tempi sono stati tanti i casi di cronaca analizzati, tra cui quello di Avetrana con la piccola Sarah, di Brembate di Sopra con l’omicidio di Yara e di Ascoli Piceno con la povera Melania). Tutto questo, però, appare necessario in una indagine delle forze dell’ordine, in casi di omicidio, di associazione mafiosa o di delitti di particolare rilievo, coperta da segreto istruttorio e processuale, ma cosa succede se tutte queste informazioni vengono diffuse prima che la stessa indagine si concluda? Molto spesso, accade che l’indagato viene condannato con il massimo della pena dall’opinione pubblica, prima ancora che possa essere pronunciata l’ordinanza di arresto e prima ancora, soprattutto, che possa esserci il processo giudiziario vero e proprio. Assistiamo, così, a delle interviste che sembrano degli interrogatori, a dei racconti davanti alle telecamere che ricordano molto le scene di uno spettacolo teatrale, ma anche a delle rappresentazioni e ricostruzioni di scene di omicidio, raccontate dagli stessi protagonisti, che fanno rabbrividire persino un regista di film dell’orrore, e tutto solo ed esclusivamente per un fantomatico diritto di cronaca. Il risultato, allora, è che l’immagine dell’indagato viene irrimediabilmente compromessa dinanzi all’opinione pubblica, senza alcuna possibilità di riabilitazione. Un tale sistema, che pone l’informazione come strumento di distruzione della dignità, del decoro e dell’immagine di un individuo, sicuramente crea un danno incalcolabile, violando non solo la riservatezza della propria intimità, ma, anche e soprattutto, l’intera futura esistenza del soggetto. Ricordiamo in proposito, che pubblicare foto raccapriccianti e impressionanti, o apostrofare una persona (presunto colpevole) con il termine “mostro”, non è considerato diritto di cronaca, bensì costituisce reato. Tutto questo, poi, può influenzare l’acquisizione della prova e l’andamento del processo?
Si può affermare con certezza che il diritto di cronaca, così come inteso negli ultimi anni e come sviluppato soprattutto dall’accanimento della stampa, tende a violare la riservatezza della intimità personale, ma nel contempo è limitata dalla normativa che si sta adeguando sempre di più all’avvento dei nuovi strumenti di comunicazione e di diffusione delle informazioni, cercando di fornire mezzi di tutela appropriati e precisi, lasciando sempre meno spazio all’assalto selvaggio nella vita privata degli individui.
Le disposizioni normative vigenti, dunque, non sono più in grado di provvedere alla regolamentazione integrale degli strumenti di informazione, ma il programma legislativo in divenire non è ancora in grado di impossessarsi completamente della pesante eredità. Ad oggi, il ricorso agli strumenti di legge in vigore appare limitato rispetto alle potenzialità dei meccanismi da arginare; ci sono ancora delle difficoltà applicative, ma la prospettiva di poter modernizzare la normativa attraverso nuovi sistemi operativi, appare sempre più concreta.
Massimo Di Summa