Pellegrinaggio al Santuario di Jaddico - 27 luglio 2011
Questo mese proponiamo qualcosa di già esistente, si tratta di alcune pagine scritte nel 2008, dopo la morte del prof. Alberto Del Sordo, il quale è stato uno dei primi a collaborare con Teodoro D'Amici, è stato presente durante l'illuminazione del muro di Jaddico, ed ha diffuso con i suoi scritti e il suo entusiasmo il culto alla Madonna.
(questo il primo di due episodi)
ALBERTO DEL SORDO, SERVO DELLA MADONNA DI JADDICO
Chi fra coloro che da alcuni anni frequenta il nostro Santuario non ricorda Alberto Del Sordo? Il Signore l'ha chiamato a sé, all'indomani della festa dell'Assunta, per ricevere il premio dei giusti e contemplare da bellezza di Colei, che egli in vita ha raccontato in tanti libri e articoli e che un giorno del 1962 volle che a Jaddico fosse ricostruita la sua casa. Gli siamo tutti immensamente riconoscenti e vogliamo ricordare alcuni tratti della sua singolare personalità, umana e cristiana, attraverso il ricordo di due suoi amici.
Quando negli ultimi tempi mi capitava di parlare di lui lo indicavo come un giovanotto di oltre novant'anni, che con il suo bastone camminava spedito.
Sto parlando di Alberto Del Sordo, studioso di storia meridionale, autore di libri di storia brindisina, presidente dell'Università popolare di Brindisi, e l'elenco sarebbe ancora lungo. Ma tutto questo non è niente, perchè lui era sopratutto uno dei componenti della “Pia Associazione dei Servi della Madonna”: un pugno di persone, quattordici, che di notte, andavano a Jaddico, anche con i propri familiari ed amici, a pregare, davanti all'affresco della Madonna.
Aveva deciso che doveva andare in Paradiso, che il Signore doveva ammetterlo nel suo Regno, ed è per questo che ha fatto la scelta di vivere da vero cristiano.
Lo stesso Padre Innocenzo, avvisato dai familiari di Alberto, al telefono, mi dice: “Hai saputo di Alberto?”, era circa mezzogiorno.
Alberto aveva deciso di lasciarci pochissimo tempo prima.
Quella stessa sera del 19 agosto, alle 20.00, Padre Innocenzo Parente, Rino Rescio ed io, eravamo in casa sua.
Era bellissimo nel suo abbigliamento da diacono, con la tunica e la stola, nelle mani la coroncina nera che aveva usato quando negli ultimi tempi, qualche volta, sono andato a trovarlo, e con lui ho pregato, ma poco, per non stancarlo.
Sembrava un angelo, dirà Padre Innocenzo Parente, durante la messa che è stata celebrata a Jaddico pochi giorni dopo la sua morte.
Mi dava l'impressione che si fosse fatto più piccolo, ma proprio piccolo, quasi a confermare, in questo modo, di voler uscire dalla scena in maniera silenziosa, senza che nessuno se ne accorgesse.
Era invece un gigante quando lui, ancora giovane, faceva vibrare la sua penna. Grazie a lui i quotidiani di Brindisi hanno potuto farci sapere quanto a Jaddico stava accadendo: Commovente rito nella chiesa di Jaddico - Benedizione ufficiale per la chiesa di Jaddico - La festa dell'Immacolata a Jaddico - Folla di fedeli nella chiesa di Jaddico.
Fu lui a far pubblicare i fatti di Jaddico su un settimanale a tiratura nazionale. Aveva preso contatti con l'inviato del settimanale, il quale per lavoro si trovava in Grecia, e con lui si era messo d'accordo per parlargli di Jaddico.
Al rientro dalla Grecia ci fu l'incontro. L'inviato G.G. ebbe da Alberto l'articolo bello e pronto: “Forse sta sorgendo a Brindisi una piccola Lourdes italiana.” L'articolo per scelta di Alberto fu firmato dal G.G.
Quante volte, quando ero a casa sua, o in macchina, mentre andavamo a Jaddico, mi parlava del suo amico, di Teodoro D'Amici e mi diceva: “Mi voleva bene”.
Era contento quando me lo diceva, e non si stancava di ripetermelo.
Con lui aveva condiviso la gioia di aver vissuto frammenti di Paradiso qui a Jaddico, assieme agli altri “Servi”. Di tutti loro mi parlava.
Lui non era uno di quelli che a Jaddico, al momento della Luce, lo avremmo potuto vedere buttato per terra, e lo avremmo sentito gridare: “Grazie Madonna mia per aver dato la possibilità anche a me di vedere”.
All'inizio lui aveva fatto prevalere uno spirito indagatore: “ero scettico”, lui stesso dice; e per questo dobbiamo dirgli grazie, perchè è per noi una garanzia in più della veridicità di quanto accaduto.
Lui, uomo di fede, e grande innamorato di Maria, si era avvicinato a Jaddico, e all'uomo Teodoro D'Amici, per appurare, per trovare la certezza su quanto si diceva e su quanto fino a quel momento era stato già scritto sui quotidiani di Brindisi.
Ecco perchè la sua testimonianza vale il doppio.
Già l'incontro con Teodoro D'Amici assume i toni del “chi va là”.
Alberto lo mette in guardia, lo diffida, perchè lui possiede le armi per poter colpire. La breve chiacchierata fatta in maniera occasionale, vicino al muro di Jaddico, la conduce in maniera vivace.
Dall'altra parte, invece, l’uomo dalle mille multe risponde semplicemente: “Tu vieni e vedi”.
Nel momento in cui partecipa alla sua prima illuminazione, pur testimoniando di aver visto il muro tutto illuminato, conserva una certa riserva circa l'evidenza dei fatti.
- “Eppure ho visto poco.” Anche queste sono parole di Alberto. Ci arrivano da uno dei testimoni presenti assieme a lui. Per questo dobbiamo dire grazie ad Alberto, perchè vuole rendersi conto della verità, e questo garantisce a noi la certezza dei fatti.
Non parlo per me, perchè io c'ero.
Vuole prove concrete e inconfutabili. Solo mettendo il dito nelle piaghe, solo così sarà sicuro di quello che accade.
In quella stessa notte della sua prima Luce, prima del rientro a Brindisi, chiede ad uno dei tre fratelli Consales di posizionare la sua auto in direzione del muro, e poi dopo: “Anto', accendi tutte le luci che hai”. Ma il confronto, come lo stesso Alberto ci dirà, non reggeva.
Ma il 27 maggio 1963 le sue ginocchia si piegano.
Le sue parole: ” ...... quando in un fiat, il rudere si illuminò di luce intensissima, argentea, sicchè lo sbiadito affresco della Vergine apparve come rinnovato e vivo nei colori della veste e del manto; molti riflettori messi insieme non avrebbero potuto offrire un trionfo di luce come quello. Dopo pochi secondi tornarono fittissime le tenebre, mentre tutti in ginocchio piangevano e pregavano”.
Quando mi raccontava dei fatti di Jaddico, sopratutto dei piccoli episodi, anche di quelli che stanno fuori dei fatti prodigiosi, avvertivo una responsabilità grande, capivo che mi rendeva custode di quanto lui raccontava.
Al mattino, appena sveglio, mi dice Alberto, nella mia mente scorrevano le parole di una preghiera. Ho sentito la necessità di scriverla. (In quel momento non è stato in grado di dirmi in che data ciò è accaduto, ma si è trattato dei primi mesi del 1965.) Una preghiera con la quale affidarci alla Madonna di Jaddico. Ho chiesto a mia moglie una biro (o un “lapis”, come tante altre volte mi aveva detto) e un foglio di carta, e così, senza nemmeno alzarmi dal letto l'ho messa sulla carta. Uscì di volata la preghiera, di getto, senza nemmeno una correzione. Un momento di ispirazione.
Unico particolare è che io l'avevo dedicata all'Immacolata Concezione.
Quando l'ho portata alla Curia, ne ho parlato con Mons. Franco, che allora era Vicario Generale, e gli piacque molto.
- Albe', mi sento dire, perchè non la dedichiamo a Maria Madre della Chiesa, giacchè stanno chiudendo così, con questo titolo il Concilio. Infatti mancavano 6-7 giorni alla chiusura del Concilio stesso.
- Siiii, don Armando, Maria Madre della Chiesa, fu con gioia la mia risposta.
Nacque così la preghiera con cui i Servi, riponevano la loro totale fiducia nelle mani della Madonna. Quella Madonna alla quale chiedevano aiuto per sfuggire dagli assalti dell'inferno, quella Madonna che anche su questa terra, volevano pellegrina al loro fianco, perchè fosse di aiuto, con la sua luce e con il suo profumo, per percorrere assieme a lei, i tortuosi sentieri di questa vita.
Alberto in questa preghiera scriveva della Luce, del profumo, parole che ci fa leggere, non perchè dettate dallo zelo della devozione, ma perchè contenevano l'esperienza che lui stesso aveva vissuto.
- Don Antonio Carella “era mpacciutu quella sera”, non capiva più niente. Eravamo a Jaddico, appena fuori dalla chiesa, c'era pure don Antonio Fella, ed un profumo forte e delicato si avvertiva nell'aria. Il profumo della Madonna.
Quando fu il momento, con la macchina di don Antonio Carella, tornammo a Brindisi. Ci separammo a piazza Duomo, e don Antonio Carella fece finta di entrare in seminario, invece tornò a Jaddico, subito, solo, ma non sentì più niente.
Un profumo che è un cocktail di vari profumi, come lui dice, ma che al tempo stesso non gli permette di poterlo definire.
Un profumo capace di svegliarmi di notte, continua Alberto, sebbene io avessi una deviazione al setto nasale.
Ho subito raggiunto il comò, dove notoriamente era sistemato un vaso di fiori, ed così che l'ho preso per portarlo in cucina, perchè avevo pensato che mia moglie ci avesse messo dentro i fiori. Mi sono accorto immediatamente che era vuoto. Era vuoto dei fiori, ma anche di acqua, al punto che l'ho capovolto e non ne è uscita nemmeno una goccia.
Rimasi sbalordito di questo profumo che già era passato, allora ho pensato: “Questo è il profumo della Madonna!”
- Di Jaddico, intervengo io. Possiamo aggiungerlo?
- Siiii, sempre di Jaddico, in maniera pacata continua Alberto, che vuole tenermi contento, e che pure ci tiene a precisare: “Una è la Madonna”. Ed io con un sorriso gliene do conferma.
- Madonna mia questo deve essere il tuo profumo, dice Alberto. Se è il tuo profumo dammi la conferma. Fammelo sentire un'altra volta.
E mi servì subito, immediatamente. Non finii di esprimere il desiderio che il profumo si ripeté. Poi mi misi a letto e dormii come un angelo.
Per alcuni anni, tra il 1999 e il 2001, ogni 27 del mese, appena finito di lavorare, passavo a prenderlo, per andare a Jaddico. Con largo anticipo rispetto al rosario eravamo già lì.
Appena arrivati sul piazzale del santuario, la prima tappa era quella di avvicinarci all'”acqua mia”. Con queste parole, con tanta insistenza, la Madonna indicò quell'acqua a Teodoro, e aggiunse: “Cercala e la troverai”.
Salivamo assieme i tre scalini, ed io non sapevo se con la mia mano tenergli il braccio o no. Era necessario aiutarlo, ma non volevo farlo, per farlo sentire fiero di poter ancora salire da solo. Lui e il suo bastone. Appena vicino all'acqua si bagnava gli occhi, quegli occhi che tanto avevano lavorato per scrivere e per leggere di Jaddico. Non aveva più una buona vista, quando mi leggeva qualche rigo che aveva scritto, pur avendo gli occhiali sul naso, usava la lente d'ingrandimento, e con quella inseguiva le parole che mi leggeva.
Anche io vedendo lui, facevo lo stesso, e bagnandomi gli occhi, in silenzio, mi dicevo: per poterti un giorno vedere, e poi la bocca: per poter parlare di Te, e poi le orecchie: per saperti ascoltare, e poi la fronte: per avere discernimento.
(primo di due episodi) tonino